L’evoluzione dello smartphone sembra ormai aver raggiunto la sua forma matura: schermi che si piegano, fotocamere che vedono meglio dell’occhio umano, intelligenze artificiali che apprendono dai nostri gesti e dalle nostre parole. Eppure, secondo le più recenti analisi tecnologiche, siamo solo all’inizio di una nuova metamorfosi.
Nei prossimi anni, lo smartphone non sarà più il centro della nostra esperienza digitale, ma uno dei suoi nodi: attorno a esso ruoteranno occhiali a realtà aumentata, auricolari dotati di intelligenza artificiale, assistenti vocali empatici e interfacce sensoriali capaci di adattarsi alle emozioni. La tecnologia tenderà a dissolversi, diventando un’estensione invisibile dei nostri sensi.

In questo scenario di espansione, cresce una consapevolezza parallela: non basta innovare, bisogna farlo responsabilmente. Dietro ogni dispositivo si nasconde una catena di estrazione, produzione e consumo che tocca il pianeta in profondità. Per questo, alcune aziende europee stanno sperimentando una via diversa: produrre smartphone modulari e riparabili, costruiti con oltre il 50% di materiali riciclati o provenienti da filiere etiche, e capaci di durare nel tempo grazie a 12 componenti sostituibili con un semplice cacciavite e a un supporto software garantito fino a otto anni.

Un tassello fondamentale di questa visione etica riguarda l’uso responsabile dei minerali. Sempre più progetti industriali si impegnano a garantire che stagno, tungsteno, tantalio e oro provengano da miniere che rispettano standard umani e ambientali, evitando di finanziare conflitti o violazioni dei diritti. In collaborazione con organizzazioni non governative, vengono identificate miniere responsabili — come in Rwanda o nella Repubblica Democratica del Congo — e si promuove l’impiego di oro certificato Fairtrade, proveniente da filiere tracciabili e sicure. È una scelta che rende la tecnologia non solo più pulita, ma anche più giusta.